Maledetta innovazione
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Oggi non vi parlerò di Intelligenza Artificiale e no, non vi parlerò neanche di relazione e di interazione. Oggi volevo proprio scrivere qualcosa di off-topic e avviare con voi una riflessione che esula da queste tematiche ma che credo sia in qualche modo legata al tema dell’innovazione o quanto meno del rapporto che abbiamo con essa.
Qualche giorno fa, come tutte le mattine, leggevo le news dal nostro bel Paese e dal Mondo, perché sì: nonostante tutto e nonostante spesso non sia facile digerire alcune notizie, continuo a ritenere importante il fatto di essere sempre aggiornati su quello che succede intorno a noi.
Fra le varie cose, mi cade l’occhio su una notizia secondo la quale le associazioni di settore avrebbero duramente protestato per l'inclusione in concorso alla Mostra Internazionale d'arte cinematografica di Venezia di film non destinati alla proiezione in sala, come il vincitore "Roma" di Cuarón, veicolato tramite la piattaforma Netflix.
Ora, davvero, non voglio scatenare una polemica fra gli “innovatori a tutti i costi” e quelli che “si stava meglio quando si stava peggio”, non voglio dividere il Mondo fra Buoni e Cattivi, così come non voglio dire cosa sia giusto o sbagliato. Lo so: sono vintage e non va più di moda, ma proviamo a riflettere! Sono cosciente del fatto che i cambiamenti che avvengono velocemente fanno paura: questo è il caso delle nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale, appunto, che cambieranno sostanzialmente il mondo del lavoro. Questo è anche il caso di piattaforme come Netflix, che nasce circa 20 anni fa per il noleggio dei DVD ma che dal 2013 inizia a produrre contenuti, anche di qualità evidentemente. Stessa storia con l’ormai epocale diatriba fra Uber e i tassisti. Tutte le volte il convenzionale fa la guerra al nuovo e tutti si concentrano più sul lasciare le cose come stanno perché “se fino ad oggi ha funzionato, perché cambiare?” che sul valutare quelle che sono le opportunità per magari coglierle.
Sì, rimanere immobili e guardare con diffidenza a cosa accade intorno a noi, provando ad arrestare il cambiamento e convincendosi che la strada migliore da seguire sia quella di non cambiare mai direzione, sarà la rovina di molti di noi.
Era il 1845, quando l’economista francese Frédéric Bastiat pubblicava “La Petizione dei Fabbricanti di Candele”: una satira sul protezionismo nella quale l’Industria dell’illuminazione fa una richiesta alla Camera dei Deputati della Monarchia di Luglio francese affinché protegga il loro mercato dall’ingiusta competizione una potenza straniera, il Sole.E no: sono passati 173 anni, ma non siamo cambiati.
Di seguito il testo integrale.
La petizione dei fabbricanti di candele contro la concorrenza sleale del sole
Dai Fabbricanti di candele, ceri, lampade, candelieri, lampioni, smoccolatoi, spegnitoi; e dai fabbricanti di sego, olio, resina, alcool e in genere tutto ciò che riguarda l’illuminazione.
Agli onorevoli membri della Camera dei Deputati.
Gentiluomini, siete sulla buona strada. Voi rigettate le teorie astratte e avete scarso riguardo per l’abbondanza e i prezzi bassi. Vi occupate principalmente dei produttori. Desiderate alleviarli dal peso della competizione estera, ovvero, volete riservare il mercato nazionale all’industria nazionale.
Siamo qui per offrirvi la splendida opportunità di mettere in pratica la vostra, come potremmo chiamarla? Teoria? No, nulla è più ingannevole della “teoria”. La vostra “dottrina”? Il vostro “sistema”? Il vostro “principio”? Voi però disprezzate le dottrine, i sistemi vi fanno orrore e, per quanto riguarda i princìpi, in economia politica negate che ve ne siano affatto. Direi che quindi possiamo chiamarla “pratica”, la vostra pratica senza teoria e senza principio.
Stiamo soffrendo la rovinosa concorrenza di un rivale straniero, che apparentemente lavora in condizioni talmente superiori alle nostre per la produzione di luce che sta inondando il mercato interno ad un prezzo incredibilmente basso; nel momento in cui appare, le nostre vendite diminuiscono, tutti i consumatori si rivolgono a lui, e un intero comparto dell’industria francese con innumerevoli ramificazioni viene ridotto tutto d’un colpo alla completa stagnazione. Questo rivale, che non è altro che il sole, ci sta facendo guerra così impietosamente da farci venire il dubbio che sia la perfida Albione (eccellente diplomazia, oggi giorno!) ad avercelo aizzato contro, in particolare perché sappiamo che da sempre nutre per quell’isola sprezzante un rispetto che a noi non è dato ricevere.
Vi chiediamo pertanto di essere così gentili da approvare una legge che richieda la chiusura di tutte le finestre, abbaini, lucernari, persiane interne ed esterne, tende, intelaiature, oblò, finestrelle, veneziane – in breve: ogni apertura, buco, fessura, fenditura attraverso cui la luce solare è solita entrare nelle case, a scapito delle oneste industrie con cui, e lo diciamo con orgoglio, abbiamo alimentato l’intero paese, un paese che oggi non può, senza tradire una certa ingratitudine, abbandonarci ad una battaglia tanto ineguale.
Siate così buoni, onorevoli deputati, da prendere sul serio la nostra richiesta, e di non rigettarla senza almeno ascoltare le ragioni che abbiamo da addurre a suo sostegno.
Prima di tutto, se si riduce il più possibile l’accesso alla luce naturale, e dunque si crea il bisogno di luce artificiale, quale industria di Francia non verrà in questo modo stimolata?
Se la Francia consuma più sego ci sarà più bisogno di pecore e di bestiame e, di conseguenza, assisteremo a un incremento in settori come la carne, la lana, il pellame e soprattutto il letame, la base di tutta la ricchezza agricola.
Se la Francia consuma più olio, assisteremo a un’espansione nella coltura di papaveri, olive e semi di colza. La necessità di queste piante ricche, che però consumano suolo, sopraggiungerà proprio nel momento giusto, in cui potremo mettere a frutto la maggior fertilità delle terre dovuta all’allevamento di bestiame.
Le nostre brughiere si copriranno di alberi resinosi. Numerosi sciami di api porteranno dalle nostre montagne i tesori profumati che oggi sprecano le loro fragranze, come i fiori da cui emanano. Perciò, è evidente come nessun ramo del settore agricolo rimarrebbe escluso da questo grande sviluppo.
Lo stesso è vero delle spedizioni marittime. Migliaia di vascelli sarebbero impegnati nella caccia alle balene, e in breve tempo avremmo una flotta in grado di sostenere l’onore di Francia e di gratificare le patriottiche aspirazioni dei sottoscrittori della petizione, i fabbricanti di candele, etc.
E che dire delle specialità manifatturiere parigine? D’ora in poi potremo vedere decorazioni dorate, bronzee o di cristallo nei nostri portacandele, nelle nostre lampade e lampadari, nei nostri candelabri luccicanti in spaziosi empori, a confronto coi quali quelli di oggi sono poco più che bancarelle.
Non c’è umile collettore di resina sulle alture delle sue dune di sabbia, non c’è povero minatore nelle profondità della sua oscura miniera, che non riceverà salari più alti e non gioverà di una maggiore ricchezza.
Non servono grandi riflessioni, cari gentiluomini, per farsi persuadere che non c’è forse nemmeno un francese, dal ricco proprietario della Compagnia di Anzin al più povero dei venditori di fiammiferi, la cui condizione non migliorerebbe con il successo della nostra petizione.
Possiamo immaginare quali sarebbero le vostre obiezioni, gentiluomini; ma non ce n’è una sola che non abbiate pescato dagli stantii, vecchi libri dei fautori del libero commercio. Vi sfidiamo a pronunciare qualsiasi parola contro di noi che non vi si rimbalzerebbe contro immediatamente, contro di voi e contro il principio che guida la vostra intera politica.
E magari ci direte che, anche se potremmo trarre giovamento da questa protezione, la Francia non ne gioverebbe affatto, perché sarebbe il consumatore a subirne il costo.
Abbiamo la risposta pronta: non avete più il diritto di invocare l’interesse del consumatore. Lo avete già sacrificato ogni volta che il suo interesse era contrario a quello del produttore. E lo avete fatto per “incoraggiare l’industria e aumentare l’occupazione”. Per la stessa ragione fareste lo stesso anche stavolta.
In realtà, siete stati voi stessi ad anticipare questa obiezione. Quando vi è stato detto che il consumatore ha interesse a che il ferro, il carbone, il sesamo, il grano e i tessuti entrino nel paese liberamente, avete risposto: “Sì, ma il produttore ha interesse a che ne rimangano fuori”. Molto bene! Allora è certo che se i consumatori hanno interesse a che la luce naturale sia autorizzata, i produttori hanno interesse a che venga interdetta.
“Ma” – potreste obiettare – “Il produttore e il consumatore sono in fin dei conti la stessa persona. Se il fabbricante trae profitto dalla protezione, renderà ricco il contadino. Al contrario, se l’agricoltore è ricco, aprirà i mercati ai beni manifatturieri”. Molto bene! Se ci garantite il monopolio della produzione di luce durante il giorno, come primo atto compreremo grandi quantità di sego, carbone, olio, resina, cera, alcol, argento, ferro, bronzo e cristallo, in questo modo forniremo le vostre industrie. Non solo, essendo diventati ricchi noi e i nostri numerosi fornitori consumeremo parecchio e diffonderemo ricchezza in tutti i settori industriali del Paese.
Non ci direte forse che la luce del sole è un dono gratuito della Natura, e che rifiutare siffatto dono equivarrebbe a rigettare la ricchezza di per sé con il pretesto di incoraggiare i mezzi per acquistarla?
Ma se prendete questa posizione, scoccate un dardo mortale alla vostra stessa politica. Ricordatevi che fino a ora avete sempre escluso i beni stranieri proprio in ragione e in proporzione al fatto che si avvicinano alla definizione di dono gratuito. Non c’è ragione per cui dovreste accogliere le richieste di altri monopolisti e non la nostra, che è del tutto coerente con la vostra politica. Rifiutare le nostre richieste proprio perchè più fondate di quelle di chiunque altro sarebbe come accettare l’equazione: + x + = -; in altre parole, sarebbe come sommare un’assurdità ad un’altra.
Quando si tratta della produzione di un bene, forza lavoro e natura collaborano in proporzioni variabili, in base al paese e al clima. L’apporto della natura è sempre gratuito. È pertanto l’apporto del lavoro umano che costituisce il valore del bene e che per questo viene remunerato.
Se un’arancia di Lisbona si vende alla metà del prezzo di un’arancia di Parigi, è perché il calore naturale del sole, che è ovviamente gratuito, contribuisce alla prima in misura pari a quanto alla seconda contribuisce il riscaldamento artificiale, che naturalmente dev’essere acquistato e pagato sul mercato.Perciò, quando ci arriva un’arancia dal Portogallo, si può dire che è semi – esente da costi o, in altre parole, che costa la metà del prezzo rispetto a quelle che arrivano da Parigi.
Ora, è precisamente sulla base di questa semi – gratuità (chiedo scusa per la parola) che voi credete dovrebbe essere proibita. Ci chiedete: “In che modo la forza lavoro francese può competere con quella estera, quando la prima deve fare tutto il lavoro, mentre la seconda deve farne solo la metà e l’altra metà gli viene fornita dal sole?”. Ma se il fatto che un prodotto sia semi – esente da costi vi porta a escluderlo dalla concorrenza, come può il suo essere totalmente privo di costi portarvi ad ammetterlo alla concorrenza? O siete incoerenti oppure dovreste, dopo aver escluso come dannoso per l’industria nazionale ciò che è semi-esente dai costi, escludere ciò che è totalmente gratuito, con molta più ragionevolezza e il doppio dello zelo.
Per fare un altro esempio: quando un prodotto – carbone, ferro, grano o tessuti che siano – ci arriva dall’estero, e quando possiamo ottenerlo impiegando meno forza lavoro di quanta ne servirebbe se producessimo noi quei beni, la differenza tra i costi è in fin dei conti un dono gratuito. L’entità del dono è proporzionata alla differenza in questione. È un quarto, metà, o tre quarti del valore del prodotto se lo straniero ci richiede soltanto tre quarti, una metà o un quarto del prezzo. Il dono è poi completamente gratuito se il donatore, in questo caso il sole che ci fornisce la luce, non ci fa pagare nulla. La domanda, da porsi formalmente, è se quel che volete per la Francia è il beneficio del consumo gratuito o il presunto vantaggio di una produzione onerosa. Fate la vostra scelta, ma che sia logica; fin tanto che proibite, come fate, il carbone estero, il ferro estero, il grano estero e i tessuti esteri, in proporzione a quanto il loro prezzo si avvicina allo zero, sarebbe davvero illogico lasciar passare la luce del sole, il cui prezzo è sempre pari a zero!